08 ottobre 2002
Aggiornamenti e focus
Giocando si impara...
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Il gioco rappresenta la forma più elevata di espressione della nostra umanità. Gli esseri umani sono tra i pochi esseri viventi che giocano anche da adulti.
Sembra che la propensione al gioco abbia una componente innata: esiste un 'centro ludico', localizzato nei lobi frontali, che quando si attiva crea una sorta di stato di emergenza simulata.
Esistono tuttavia, anche delle componenti culturali, oltre che familiari: si è visto che i figli più giocosi sono quelli che hanno avuto dei genitori con cui hanno condiviso un ampio numero di attività ludiche.
Il gioco è molto più di una forma di divertimento.
E' un'attività, ma anche uno stato mentale: esso offre la possibilità, anche se per un breve periodo di tempo, di poter controllare il mondo, manipolando simboli, eventi e creando personaggi e ruoli di fantasia.
Esso consente la scarica emotiva in modo relativamente innocuo, nella misura in cui permette di eliminare lo stress 'negativo (distress) e di vivere una condizione di stress 'positivo' (eustress), necessario per rendere il gioco una sfida piacevole, in assenza della quale si finirebbe per annoiarsi.
Il gioco è stato anche definito una forma alternativa di cultura, così come lo sono la musica e l'arte. Ha luogo in uno spazio separato rispetto a quello della vita quotidiana e si colloca nel tempo, in genere nel passato, ha un inizio, una durata e una fine.
Presenta sempre un certo numero di regole, a volte anche molto complesse, che rappresentano il modo tramite il quale i bambini imparano ad ascoltare, avere pazienza, attendere il proprio turno e, in ultima analisi, a vivere in società.
Tra gli adulti esiste un vissuto di ambivalenza nei confronti del gioco. Da una parte, vi sono coloro che svalutano il gioco, che sono incapaci di smettere di lavorare e di iniziare a giocare, dall'altra, vi sono coloro che sono totalmente dediti ad esso, fino a sviluppare una forma di dipendenza patologica. La condizione ideale sarebbe un equilibrio tra i due estremi.
Il gioco non solo ha un ruolo fondamentale nello sviluppo cognitivo, psicologico e sociale del bambino, ma anche dell'adulto. Nel bambino consente di apprendere il meccanismo del 'turn taking', particolarmente utile nelle situazioni di interazione sociale, di creare e manipolare simboli, di sviluppare creatività e fantasia, di sperimentare se stesso e le proprie abilità. Nell'adulto consente di scaricare le tensioni, di migliorare lo stato dell'umore, di tenere in esercizio e aumentare le capacità mnemoniche e di vivere più a lungo.
Il gioco, di per sé, non è terapeutico, ma le sue potenzialità hanno cominciato ad essere utilizzate a tale scopo da Hermine Hug-Hellmuth nel 1921, in base al presupposto che i bambini possono comunicare con esso ciò che non sono in grado di verbalizzare.
Con il passare del tempo, gli studi e le ricerche si sono susseguite ed è stata fondata anche una Associazione di fama mondiale la "Association for Play Therapy". (http://www.iapt.org/). Il gioco viene utilizzato non solo nella terapia con i singoli individui, ma anche con le famiglie, in quanto consente di promuovere la comunicazione, inducendo i membri a ri-creare le situazioni del passato.
Anna Fata
Fonti
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Sembra che la propensione al gioco abbia una componente innata: esiste un 'centro ludico', localizzato nei lobi frontali, che quando si attiva crea una sorta di stato di emergenza simulata.
Esistono tuttavia, anche delle componenti culturali, oltre che familiari: si è visto che i figli più giocosi sono quelli che hanno avuto dei genitori con cui hanno condiviso un ampio numero di attività ludiche.
Definizioni possibili
Il gioco è molto più di una forma di divertimento.
E' un'attività, ma anche uno stato mentale: esso offre la possibilità, anche se per un breve periodo di tempo, di poter controllare il mondo, manipolando simboli, eventi e creando personaggi e ruoli di fantasia.
Esso consente la scarica emotiva in modo relativamente innocuo, nella misura in cui permette di eliminare lo stress 'negativo (distress) e di vivere una condizione di stress 'positivo' (eustress), necessario per rendere il gioco una sfida piacevole, in assenza della quale si finirebbe per annoiarsi.
Il gioco è stato anche definito una forma alternativa di cultura, così come lo sono la musica e l'arte. Ha luogo in uno spazio separato rispetto a quello della vita quotidiana e si colloca nel tempo, in genere nel passato, ha un inizio, una durata e una fine.
Presenta sempre un certo numero di regole, a volte anche molto complesse, che rappresentano il modo tramite il quale i bambini imparano ad ascoltare, avere pazienza, attendere il proprio turno e, in ultima analisi, a vivere in società.
Gioco terapeutico e terapia del gioco
Tra gli adulti esiste un vissuto di ambivalenza nei confronti del gioco. Da una parte, vi sono coloro che svalutano il gioco, che sono incapaci di smettere di lavorare e di iniziare a giocare, dall'altra, vi sono coloro che sono totalmente dediti ad esso, fino a sviluppare una forma di dipendenza patologica. La condizione ideale sarebbe un equilibrio tra i due estremi.
Il gioco non solo ha un ruolo fondamentale nello sviluppo cognitivo, psicologico e sociale del bambino, ma anche dell'adulto. Nel bambino consente di apprendere il meccanismo del 'turn taking', particolarmente utile nelle situazioni di interazione sociale, di creare e manipolare simboli, di sviluppare creatività e fantasia, di sperimentare se stesso e le proprie abilità. Nell'adulto consente di scaricare le tensioni, di migliorare lo stato dell'umore, di tenere in esercizio e aumentare le capacità mnemoniche e di vivere più a lungo.
Il gioco, di per sé, non è terapeutico, ma le sue potenzialità hanno cominciato ad essere utilizzate a tale scopo da Hermine Hug-Hellmuth nel 1921, in base al presupposto che i bambini possono comunicare con esso ciò che non sono in grado di verbalizzare.
Con il passare del tempo, gli studi e le ricerche si sono susseguite ed è stata fondata anche una Associazione di fama mondiale la "Association for Play Therapy". (http://www.iapt.org/). Il gioco viene utilizzato non solo nella terapia con i singoli individui, ma anche con le famiglie, in quanto consente di promuovere la comunicazione, inducendo i membri a ri-creare le situazioni del passato.
Anna Fata
Fonti
- Gale Encyclopedia of Psychology Play. APA, 2000
- Marano H.E. The Power of Play Psychology Today Online, July, 1999
- Teitel J. Wanna play.Psychology Today Online, July-August, 1998
- Warren S.L.Internal representation: Predicting Anxiety From Children's Play Narratives
- Journal of American Academy of child and adolescent Psychiatry, Jan. 2000
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