01 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus
Pranzo in famiglia
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Certe brutte abitudini si prendono fin da piccoli e difficilmente si eliminano, anzi spesso si radicalizzano, come quella di mangiare in modo disordinato. La sregolatezza dei pasti la poca cura del momento di convivialità e del numero di pasti consumati ogni giorno, diventano il presupposto di comportamenti alimentari scorretti già in tenera età, che si rinforzano negli anni, come pratiche scorrette di controllo del peso e fame compulsiva. Ribaltando la prospettiva in una visione positiva, la famiglia diventa un elemento protettivo che può prevenire tali comportamenti, ipotesi di buon senso e recentemente dimostrata.
I disordini dei comportamenti alimentari nelle fasce di età più giovani sono stati oggetto di studio di un ampio progetto, l'Eating Among Teens, EAT, che in una prima fase (EAT I) ha verificato che, in particolare tra le ragazze nei cinque anni di passaggio tra la media e la tarda adolescenza, l'uso di lassativi e diuretici, di pillole dietetiche e dell'autoinduzione del vomito è aumentato, dal 14,5% al 23,9%. Le conseguenze dannose più probabili a livello fisico, comportamentale e psicologico sono una dieta sbilanciata e incompleta, l'aumento di peso, l'obesità, sintomi depressivi, alimentazione disordinata. L'estensione dello studio, lo EAT II, ha proseguito l'indagine per altri cinque anni, arrivando a un campione di circa 2500 adolescenti per verificare se le abitudini alimentari della famiglia venivano ereditate dai figli e con quali conseguenze. L'effetto protettivo è stato confermato: nelle famiglie in cui i pasti si consumavano in modo regolare, le ragazze in particolare (l'associazione non era significativa per i ragazzi) non presentavano comportamenti estremi di controllo del peso. In particolare, tra le famiglie in cui si consumavano almeno cinque pasti al giorno si registrava un minore prevalenza di comportamenti a rischio del controllo del peso e per contro, nei casi in cui aumentavano i disordini alimentari c'era una maggiore probabilità che l'adolescente disertasse i pasti familiari. Considerando che in questa indagine non sono stati valutati altri elementi e fattori di rischio è evidente che una strategia di prevenzione è il sostegno alle famiglie per aumentare la regolarità dei pasti.
Un sostegno che dà frutti immediati in termini di cambiamento di abitudini nella famiglia, come dimostrano gli interventi fatti in oltre mille famiglie monitorate per una anno circa. I nuclei familiari inclusi avevano almeno un bimbo tra i sette e i nove anni, fascia di età successiva alla fase di formazione del tessuto adiposo che avviene tra i tre e i sei anni. Alle famiglie sono state proposte tre tipologie di dieta, una normale (controllo), una a basso tenore di grassi e alto di carboidrati complessi (dieta A), una a basso tenore di grassi e di zuccheri semplici e alto di carboidrati complessi (dieta B). Al termine dei 10 mesi (anno scolastico) i valori antropometrici dei bambini non variano molto tra i gruppi, forse ne avevano tratto beneficio gli adulti, in particolare, quelli a dieta B rispetto al gruppo controllo. Variavano invece le modalità con cui le famiglie che seguivano le diete a basso contenuto di grassi, si nutrivano. L'obiettivo di ridurre il consumo di grassi era stato raggiunto da entrambi i gruppi, il consumo di zuccheri semplici era diminuito solo con la dieta B, il consumo di carboidrati complessi era aumentato solo nel gruppo a dieta A. Rispetto alla dieta normale, i bambini che seguivano le diete specifiche assumevano meno calorie, per gli adulti ciò accadeva solo con la dieta B.
Gli operatori che hanno seguito le famiglie, hanno notato che i cambiamenti avvenivano già nei primi tre mesi e si sono mantenuti fino alla fine del periodo stabilito, a dimostrazione del fatto che interventi diretti sono più efficaci di messaggi generici e inviti a mangiare meglio. Queste osservazioni si aggiungono ad altre che hanno verificato che anche la comunicazione, durante il pasto, su argomenti relativi al cibo o al peso corporeo, influisce sui comportamenti alimentari della prole. Aiutare le famiglie a vivere il momento del pasto con un atmosfera serena rappresenta un ulteriore aspetto di possibili interventi.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
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Regolari fin da piccoli
I disordini dei comportamenti alimentari nelle fasce di età più giovani sono stati oggetto di studio di un ampio progetto, l'Eating Among Teens, EAT, che in una prima fase (EAT I) ha verificato che, in particolare tra le ragazze nei cinque anni di passaggio tra la media e la tarda adolescenza, l'uso di lassativi e diuretici, di pillole dietetiche e dell'autoinduzione del vomito è aumentato, dal 14,5% al 23,9%. Le conseguenze dannose più probabili a livello fisico, comportamentale e psicologico sono una dieta sbilanciata e incompleta, l'aumento di peso, l'obesità, sintomi depressivi, alimentazione disordinata. L'estensione dello studio, lo EAT II, ha proseguito l'indagine per altri cinque anni, arrivando a un campione di circa 2500 adolescenti per verificare se le abitudini alimentari della famiglia venivano ereditate dai figli e con quali conseguenze. L'effetto protettivo è stato confermato: nelle famiglie in cui i pasti si consumavano in modo regolare, le ragazze in particolare (l'associazione non era significativa per i ragazzi) non presentavano comportamenti estremi di controllo del peso. In particolare, tra le famiglie in cui si consumavano almeno cinque pasti al giorno si registrava un minore prevalenza di comportamenti a rischio del controllo del peso e per contro, nei casi in cui aumentavano i disordini alimentari c'era una maggiore probabilità che l'adolescente disertasse i pasti familiari. Considerando che in questa indagine non sono stati valutati altri elementi e fattori di rischio è evidente che una strategia di prevenzione è il sostegno alle famiglie per aumentare la regolarità dei pasti.
Cambiamenti a tavola
Un sostegno che dà frutti immediati in termini di cambiamento di abitudini nella famiglia, come dimostrano gli interventi fatti in oltre mille famiglie monitorate per una anno circa. I nuclei familiari inclusi avevano almeno un bimbo tra i sette e i nove anni, fascia di età successiva alla fase di formazione del tessuto adiposo che avviene tra i tre e i sei anni. Alle famiglie sono state proposte tre tipologie di dieta, una normale (controllo), una a basso tenore di grassi e alto di carboidrati complessi (dieta A), una a basso tenore di grassi e di zuccheri semplici e alto di carboidrati complessi (dieta B). Al termine dei 10 mesi (anno scolastico) i valori antropometrici dei bambini non variano molto tra i gruppi, forse ne avevano tratto beneficio gli adulti, in particolare, quelli a dieta B rispetto al gruppo controllo. Variavano invece le modalità con cui le famiglie che seguivano le diete a basso contenuto di grassi, si nutrivano. L'obiettivo di ridurre il consumo di grassi era stato raggiunto da entrambi i gruppi, il consumo di zuccheri semplici era diminuito solo con la dieta B, il consumo di carboidrati complessi era aumentato solo nel gruppo a dieta A. Rispetto alla dieta normale, i bambini che seguivano le diete specifiche assumevano meno calorie, per gli adulti ciò accadeva solo con la dieta B.
Gli operatori che hanno seguito le famiglie, hanno notato che i cambiamenti avvenivano già nei primi tre mesi e si sono mantenuti fino alla fine del periodo stabilito, a dimostrazione del fatto che interventi diretti sono più efficaci di messaggi generici e inviti a mangiare meglio. Queste osservazioni si aggiungono ad altre che hanno verificato che anche la comunicazione, durante il pasto, su argomenti relativi al cibo o al peso corporeo, influisce sui comportamenti alimentari della prole. Aiutare le famiglie a vivere il momento del pasto con un atmosfera serena rappresenta un ulteriore aspetto di possibili interventi.
Simona Zazzetta
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