Epilessia: la diagnosi clinica

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Epilessia: la diagnosi clinica



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Può sembrare strano in tempi di tecnologizzazione spinta della medicina, ma la diagnosi dell'epilessia si basa ancora su criteri squisitamente clinici cioè, in pratica, sull'osservazione del paziente e sulla storia del paziente (anamnesi). In termini ancora più precisi, la diagnosi avviene in base a un criterio clinico, accertare la presenza di convulsioni, ed evolutivo, cioè accertare la tendenza delle crisi a ripetersi a intervalli. Quest'ultimo punto è fondamentale perché una persona su 20 sperimenta nella propria vita un singolo episodio convulsivo, senza per questo poter essere considerato colpito dalla malattia. Anche l'elettroencefalogramma (eeg), in un certo senso, è un supporto alla diagnosi, in quanto le alterazioni dei tracciati (che sono l'impronta dell'andamento delle correnti elettriche che accompagnano l'attività del cervello) possono essere presenti anche in persone che non soffrono di epilessia.

Il ruolo dell'elettroencefalogramma


L'eeg è in grado di registrare le deboli correnti che accompagnano il funzionamento delle cellule cerebrali. Nel corso delle crisi epilettiche queste correnti (onde) subiscono alterazioni caratteristiche che possono essere riconosciute dall'operatore. Sfortunatamente, a poco tempo dalla fine della convuslione l'attività elettrica del cervello ritorna normale. Per questo, quando si tratta di stabilire la presenza di epilessia, il test viene eseguito facendo osservare al paziente uno luce intermittente, che è uno degli stimoli che più comunemente scatenano una crisi. Di norma questo test non richiede più di un'ora, e quindi non è necessario un ricovero.Questo diviene necessario se invece il paziente deve essere sottoposto a un monitoraggio prolungato, o al test in privazione del sonno. Tuttavia, sistemi portatili più recenti consentono di condurre l'esame anche a domicilio, in quanto i tracciati vengono registrati in formato digitale ed esaminati in seguito. Sempre a proposito di informatizzazione dell'eeg, esistono oggi sistemi automatici di riconoscimento dei tracciati, che consentono di risparmiare tempo e di avere un'analisi più precisa: secondo uno studio condotto su 83 pazienti, il 22% delle crisi è stato individuato solo dal sistema computerizzato e non dall'operator.

Diagnosi e ricerca delle cause


Gli altri esami che pure vengono praticati su chi soffre di epilessia non servono tanto a rispondere alla domanda se si soffre o meno della malattia, quanto a stabilire quale possa esserne la causa. In altre parole, con le indagini radiologiche si può stabilire se l'epilessia abbia origine da un tumore cerebrale o da un vecchio trauma cranico mai diagnosticato prima, oppure, di converso, se si tratti di una di quelle forme benigne che si risolvono spontaneamente con la crescita come l'epilessia rolandica tipica dei bambini. Oppure per stabilire in quale area del cervello - chiamata focus - si verifica la "scarica" dei neuroni responsabile della crisi. Anche studi recenti, e revisioni critiche, hanno confermato che ha poco senso sottoporre subito il paziente che si presenta con una prima convulsione, soprattutto se in età pediatrica, a indagini per immagini, a meno che non ci siano indizi gravi di un evento traumatico oppure il paziente mostri dei deficit neurologici o cognitivi dopo che la crisi convulsiva è passata. Secondo gli esperti, eseguire indagini diagnostiche per immagini subito, ha condotto alla scoperta di circostanze che hanno modificato la gestione del paziente solo nell'1-2% dei casi. In definitiva, non esiste oggi un test che consenta di fare a meno del giudizio del medico in prima battuta.

Gli esami utili alla ricerca delle cause (diagnosi eziologica) sono:
  • La TAC cerebrale
  • La risonanza magnetica nucleare (RMN)
  • La PET (tomografia a emissione di positroni)
  • La SPECT (tomografia computerizzata a emissione di singolo fotone)
Nei bambini in particolare, si dà la preferenza alla RMN non soltanto perché non sono in gioco radiazioni, ma anche perché ultimamente la metodica è stata affinata al punto da consentire l'individuazione di una particolare malattia cerebrale, la sclerosi mesiale temporale, spesso all'origine di forme di epilessia resistenti al farmaco. PET e SPECT, per ora, non sono proprio esami di routine e il loro impiego è riservato a casi particolarmente difficili o a scopi di ricerca.

Come aiutare il medico

Proprio perché non c'è un singolo esame critico, la diagnosi dell'epilessia è piuttosto complessa, e spesso il paziente che ne soffre viene frainteso. Per esempio può accadere che le persone in cui le crisi cominciano con un'aura epigastrica, sensazione di fastidio allo stomaco, siano rinviati al gastroenterologo.

Per rendere più semplice il lavoro del medico, chi ha sperimentato convulsioni deve fare "mente locale" ad alcuni punti fondamentali per il medico:
  • Come ci si sentiva prima della crisi (per esempio, accaldati, infreddoliti, affamati, stanchi...)
  • Presentazione di sintomi quali dolore al torace, nausea, vertigini (per stabilire se non possano esserci altre condizioni quali emicrania o problemi cardiovascolari)
  • Se si ricorda qualcosa della crisi e, se no, che cosa è successo quando è terminata
  • Se prima della crisi ci sono stati altri segnali d'allarme e quali
  • Se si è caduti e/o feriti in qualche modo
  • Se prima della crisi si è bevuto alcol o si sono assunti farmaci di qualsiasi genere
  • Se dopo la crisi si sono avuti altri sintomi come confusione o debolezza
  • Quante crisi si sono già avute
  • Se ci sono altri elementi che possono suggerire la presenza di epilessia: precedenti traumi cranici, casi di epilessia in famiglia
Anche i famigliari possono essere d'aiuto raccontando al medico che cosa stava facendo il paziente al momento della crisi, che cosa è successo esattamente all'inizio della crisi, quanto è durata e se al termine il paziente appariva confuso.

Maurizio Imperiali



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