03 maggio 2013
Interviste
Italiani in buona salute, nonostante i cattivi stili di vita
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Si parla di un paradosso italiano: nonostante i pessimi stili di vita della popolazione resta ancora buona la salute degli italiani. Si direbbe, infatti, stando ai dati riportati dalla 10ma edizione del rapporto Osservasalute (2012) dell'Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni Italiane coordinato dal Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di sanità pubblica del Policlinico Gemelli di Roma, che lo stato di salute dei residenti in Italia migliori anche a fronte della crisi economica, delle cattive abitudini e dei comportamenti dannosi come sedentarietà e consumo smodato di alcolici, tant'è che è in aumento l'aspettativa di vita. Dal 2007 al 2011, infatti, i maschi hanno guadagnato 0,7 anni e le femmine 0,5 anni, un andamento che si spiega, si legge del documento, grazie alla continua diminuzione del rischio di morte per le malattie circolatorie, dell'apparato digerente e respiratorio, e per tumori.
Sugli stili di vita il quadro presenta chiaroscuri: da un lato, aumentano coloro che non consumano alcolici (+3,3% dal 2008 al 2010) e diminuiscono i fumatori (nel 2010 fumava il 22,8% degli over-14 nel 2011 è il 22,3%), dall'altro aumentano le persone in sovrappeso e obese (dal 2002 al 2011 le persone in sovrappeso aumentano del 6,9% e quelle obese del 17,6%; nel 2011 sono rispettivamente il 35,8% e il 10% della popolazione) e i giovani che adottano comportamenti a rischio. Un fenomeno emergente e preoccupante è l'avvio precoce al consumo di alcol, con "binge drinking" e consumi fuori pasto, a un'età che è la più bassa d'Europa: 11-12 anni, dato cui si aggiunge il riscontro di oltre 300 mila minori di 11-15 anni che usano l'alcol con modalità rischiose e dannose. Aumentano anche le fasce di popolazione esposta ai rischi legati all'invecchiamento, dal 2002 al 2011 si registra un aumento del 4,7% degli anziani tra 65-74 anni e del 28,7% per gli over-75. Infine, aumenta la sofferenza mentale degli italiani, che ricorrono sempre più di frequente al farmaco per controllare angosce e disagi sempre più spesso confusi con un franco disturbo depressivo: anche quest'anno prosegue, infatti, il trend di aumento del consumo di farmaci antidepressivi, come già visto nel precedente Rapporto. Il volume prescrittivo dei farmaci antidepressivi mostra un continuo aumento negli ultimi 10 anni: nel 2011 il consumo farmaci antidepressivi è di 36,1, contro un consumo di 8,18 nel 2000. Il trend dell'utilizzo dei farmaci antidepressivi difficilmente vedrà un'inversione di tendenza.
«Non solo la popolazione è a rischio» avverte Walter Ricciardi « il pericolo investe anche la tenuta dello stesso Servizio sanitario nazionale (Ssn). Infatti, per quanto il Ssn stia lentamente migliorando la sua efficienza economica, anche in risposta alle sempre più pressanti richieste di razionalizzazione e più di recente alla spending review, il rischio è che all'aumento dell'efficienza non corrisponda un aumento di efficacia delle cure e quindi un miglioramento degli esiti delle stesse. La ricerca di efficienza, attuata con tagli all'offerta, in prospettiva, potrebbe comportare dei rischi per quanto riguarda l'accessibilità alle cure e di conseguenza l'efficacia del sistema nel produrre salute». Un dato positivo, secondo Ricciardi è il calo della mortalità evitabile, cioè «i decessi imputabili a errori o inapproprietezze delle cure prestate dal Ssn. Nel periodo considerato nel Rapporto, tra 2006 e 2009, si è assistito a una lieve riduzione del tasso di mortalità riconducibile ai servizi sanitari» aggiunge l'esperto. Non va dimenticato che, sempre nel 2012, si è assistito a una sensibile riduzione delle strutture e dei posti letto negli ospedali (da circa 270 mila del 2004 a circa 251 mila del 2010). «L'attuale quadro di sofferenza economica che il nostro Paese sta vivendo minaccia di compromettere i progressi fatti nel corso degli anni in tutte le dimensioni del benessere della popolazione» commenta Alessandro Solipaca, segretario scientifico dell'Osservatorio nazionale «e le misure di austerità programmate per far fronte alla crisi, a livello centrale e locale, introducono pesanti tagli alla spesa pubblica, in particolare alla spesa sanitaria e socio-sanitaria, minando la già precaria sostenibilità del settore. I tagli previsti potrebbero diminuire i livelli di tutela del sistema, indebolendo la sua funzionalità proprio in un periodo di recessione economica. Lo scenario prospettato si inserisce in una realtà italiana già caratterizzata da evidenti svantaggi, sia in termini di salute sia di accessibilità alle cure mediche delle fasce di popolazione di livello socio-economico più basso e di forti sperequazioni territoriali che, specie per le cosiddette 'Regioni in Piano di Rientro', rappresentano una costante già da prima del 2008, anno in cui la crisi economica ha cominciato a sortire i suoi effetti negativi».
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