Depressione: epidemiologia

27 settembre 2010
Aggiornamenti e focus, Speciale Depressione

Depressione: epidemiologia



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Come lo stress, la depressione è entrata a far parte dei luoghi comuni: si dice son depresso per dire sono triste e via di questo passo. Esattamente come quando si dice che si è stressati quando, magari, semplicemente non si sa che pesci prendere. Però la realtà è ben diversa. La depressione (vera) è collocata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità al quarto posto tra i maggiori problemi sanitari, ed è ovviamente la malattia psichiatrica più spesso diagnosticata. Non solo, sempre secondo l'OMS, negli Stati Uniti e in Europa se la prima causa di invalidità sono le malattie cardiovascolari, subito dopo arriva la depressione.

Quanti casi di umore nero

Poichè la diagnosi presenta comunque delle difficoltà, soprattutto quando avviene fuori da un contesto specialistico, è difficile dare stime puntuali alla virgola, comunque tra i dati meno opinabili c'è che nella popolazione generale il rischio di andare incontro a un episodio depressivo maggiore è del 17%, e il 50-70% di chi ha questo primo ''attacco'' è destinato a sperimentarne altri. Il dato diviene preoccupante se si tiene presente che l'età media alla quale si sperimenta il primo episodio di depressione si sta abbassando.
Ovviamente il numero di persone colpite varia se si esaminano gruppi specifici di popolazione. Per esempio, negli anziani indagini statunitensi ritengono che il 15% degli anziani presenti sintomi depressivi, ma la percentuale sale al 25% tra gli anziani ricoverati negli ospizi. Anche alcuni portatori di malattie croniche sono più spesso soggetti a questo disturbo, per esempio i diabetici, soprattutto se già accusano la retinopatia e, quindi, una diminuzione della vista.
Anche tra bambini e adolescenti le stime fanno pensare a un problema emergente: dal 2 al 5% sperimenta la malattia e la quota sale tra i cosiddetti bambini difficili già in carico allo psicologo. Quadro ancora peggiore tra gli adolescenti (almeno quelli statunitensi): il 20% sperimenta almeno un episodio entro i 18 anni, mentre addirittura il 65% presenta sintomi simili o assimilabili alla depressione, sia pure di entità non grave. Certamente queste cifre vanno sempre prese con qualche cautela, tenendo presente anche la vocazione americana a medicalizzare tutti i fatti della vita. Uno degli studi più recenti pubblicati sulla situazione italiana (condotto su un campione statisticamente rappresentativo di oltre 3.500 persone) ha stimato una prevalenza ( numero di persone colpite negli ultimi sei mesi precedenti l'indagine) pari all'8% per la depressione maggiore e al 2,9% per la depressione minore. Per quanto riguarda la depressione maggiore la fascia d'età più colpita era quella compresa tra 30 e 49 anni, la meno colpita quella degli ultrasessantenni (4,1%), dati che per inciso corrispondono alla tendenza europea.

Pesa di più sulle donne

Un dato, comunque, sembra incontestabile: la depressione colpisce più frequentemente le donne. In linea generale, nella popolazione femminile il disturbo è da 1,5 a 3 volte più frequente (secondo l'indagine italiana citata prima, la depressione minore è 1,6 volte più frequente nelle italiane che negli italiani, quella maggiore 1,3 volte). Alcuni grandi studi epidemiologici (ancora una volta, statunitensi) riportano una frequenza media del 20% tra le donne e del 10 per cento tra gli uomini. Il perchè, secondo gli studiosi, può essere cercato in tre direzioni diverse:

a) L'ipotesi dell'artefatto. In realtà le donne non sarebbero più esposte o colpite degli uomini, ma soltanto più inclini a parlare di questo tipo di disturbi col proprio medico. Si tratterebbe dunque di un cosiddetto ''artefatto diagnostico'', cioè di un effetto dovuto alle modalità con cui si procede alla diagnosi.

b) L'ipotesi biologica. Le donne sarebbero maggiormente vulnerabili in funzione delle variazioni ormonali legate al ciclo riproduttivo: il menarca (inizio delle mestruazioni), la gravidanza, la menopausa, sono tutte situazioni che comportano sensibili cambiamenti nella fisiologica della donna.

c) L'ipotesi socioculturale. In questo caso sarebbe il contesto di relazioni sociali in cui è inserita la donna a determinare la maggiore frequenza con cui si manifesta la depressione. Infatti, malgrado gli innegabili cambiamenti avvenuti negli ultimi 30 anni, è innegabile che la donna risenta ancora di una condizione socioeconomica sfavorevole e che più spesso sia la parte debole anche nelle relazioni famigliari (rapporto padre-figlia, marito-moglie).

In effetti l'ipotesi socioculturale rende conto di alcuni dati epidemiologici altrimenti più difficilmente spiegabili. Per esempio il fatto che tra gli studenti universitari dei campus la depressione colpisce i due sessi nella stessa misura. Va anche detto, poi, che gli eventi sociali possono contribuire a rafforzare le cause biologiche. Gli stress ripetuti, infatti, è ormai dimostrato che agiscono anche alterando l'equilibrio ormonale.
Insomma, la scienza confermerebbe quanto scritto da John Lennon: ''Woman is the nigger of the world'' e cioè ''la donna è il negro - la minoranza oppressa - dell'umanità''.



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