Malattie infiammatorie croniche intestinali, assistere e tutelare i pazienti. Intervista a Salvo Leone, AMICI Onlus

05 novembre 2020
Interviste, #appuntidisalute, Video

Malattie infiammatorie croniche intestinali, assistere e tutelare i pazienti. Intervista a Salvo Leone, AMICI Onlus



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Si stima che in Italia le persone affette da Colite Ulcerosa e da Malattia di Crohn siano circa 250.000. Le malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici) sono caratterizzate da una disabilità invisibile: il disagio è interno. Il paziente esternamente non mostra i disagi della malattia, ha dei sintomi che spesso sono difficili da raccontare. La diarrea cronica si presenta con fasi alterne, perciò il malato trascorre periodi nei quali sta bene e purtroppo altri periodi in cui sta molto male. In questi mesi la malattia Covid-19 ha monopolizzato l'attenzione sanitaria e mediatica e i pazienti cronici hanno potuto superare le difficoltà quotidiane dovute alle incertezze del momento grazie alle iniziative attuate dalle associazioni dei pazienti. Dica33 ha ospitato in Appunti di salute il dottor Salvo Leone, direttore generale di Amici Onlus, l'Associazione nazionale per le malattie infiammatorie croniche dell'intestino (Mici).



«L'obiettivo che ci proponiamo è di assistere e tutelare tutte le persone affette da Mici e i loro familiari, garantendo ai pazienti una buona qualità di vita e, al contempo, la possibilità di essere curati nel miglior modo possibile". Ha spiegato Leone, "Negli scorsi mesi in particolare abbiamo fornito qualsiasi tipo d'informazione utile al malato e a chi lo affianca (sulle terapie, sui centri specializzati in tutta Italia...) ma anche promuovendo progetti di supporto psicologico gratuito in diversi centri di cura nazionali." Amici onlus ha, inoltre, realizzato campagne di sensibilizzazione per infrangere il muro di silenzio attorno a chi soffre di queste patologie. Uno degli scopi di Amici è "rendere pazienti e associati attivamente partecipi delle iniziative dell'associazione". Ha precisato Leone, "Per esempio, invitandoli periodicamente a rispondere a questionari mirati, per capire qual è la loro opinione in merito a un determinato argomento. Una volta raccolti i dati, li analizziamo al fine di individuare le criticità legate a esso e soprattutto proviamo a sviluppare progettualità utili a risolvere il problema. Ci interfacciamo, poi, costantemente con le istituzioni, con cui abbiamo un dialogo costruttivo".

Quali sono le iniziative di maggiore spicco che avete condotto in questi ultimi anni?


«Solo per citarne alcune, nel 2014, assieme a Cittadinanzattiva, il primo Percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (Pdta) che ha permesso ai pazienti di accedere a servizi unici e uniformi su tutto il territorio nazionale. L'anno successivo siamo stati coinvolti dal Ministero della salute nella realizzazione del Piano nazionale della cronicità che, dopo un quadro generale riferito a tutte le patologie croniche, entrava nello specifico in sei di queste, tra cui anche le malattie croniche intestinali. Tra gli obiettivi del Piano, promuovere la formazione dei medici di medicina generale per migliorare la capacità di identificare precocemente queste malattie e adottare Pdta dedicati, in accordo con le linee guida e i bisogni clinici dei pazienti complessi. Contestualmente, in collaborazione con l'Università cattolica del Sacro cuore di Roma, ci siamo occupati dei costi indiretti nella Sanità, con un'indagine da cui è emerso che un malato per curarsi spende circa 750 euro all'anno, cifra che può lievitare anche più del triplo se alle spese mediche si aggiungono quelle che il cittadino deve sostenere di tasca sua quando si trasferisce per cure in un'altra regione, o quelle relative alla perdita di produttività causate dal non potersi recare al lavoro o, ancora, quelle affrontate per farsi accompagnare alle visite mediche da un familiare o da un caregiver. Nel 2016 abbiamo invece promosso, in collaborazione con il centro di ricerca EngageMinds HUB dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il progetto "AMICI we care", teso a individuare quali fossero, per i malati, i cardini della qualità di cura. L'indagine, ha evidenziato un disallineamento tra le reali necessità espresse dai pazienti e la percezione di quelle che potrebbero essere tali necessità da parte della classe medica. I risultati indicano chiaramente come il coinvolgimento attivo del malato nel processo di cura, aumentando e favorendo l'informazione, genera una migliore gestione della malattia, accresce l'aderenza ai trattamenti, migliora lo stile di vita del malato e porta a una riduzione dei costi sanitari. Persone con alti livelli di engagement risultano avere una spesa sanitaria diretta (farmaci, visite, esami) inferiore del 20% e hanno un tasso di giorni di assenza dal lavoro per le cure più basso del 25%.

#appuntidisalute

Mercedes Bradaschia



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