Rare e da prione

07 novembre 2003
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Rare e da prione



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Una su 4.402.985. Sono queste le probabilità di ammalarsi del morbo di Creutzfeld-Jakob, più familiarmente noto come l'equivalente umano della mucca pazza. Meno che le probabilità di morire per impatto con un meteorite (una su 25mila) ma un po' di più di quelle di essere colpiti da un fulmine (una su 15 milioni). Come a dire che, quanto ai numeri, c'è da stare abbastanza tranquilli. L'incidenza è, invece, superiore se si prendono in esame i bovini, da cui ha avuto origine la variante della malattia.

Mucca pazza


L'encefalopatia spongiforme bovina (Bse), comunemente conosciuta come morbo della mucca pazza, è una malattia degenerativa del cervello che colpisce i bovini. È caratterizzata dalla comparsa, nel cervello dei bovini colpiti di minuscoli buchi, che danno al cervello l'apparenza di una spugna. Gli animali colpiti manifestano significativi cambiamenti nel comportamento come nervosismo e aggressività, difficoltà nella postura, mancanza di coordinazione e difficoltà ad alzarsi, diminuita produzione di latte nonché perdita di peso nonostante il continuo appetito. Il bovino colpito muore quasi certamente. La malattia ha un periodo di incubazione che oscilla tra i 2 e gli 8 anni. La condizione dell'animale, dopo che si manifestano i primi sintomi clinici va peggiorando rapidamente in un tempo oscillante tra le due settimane e i sei mesi. A tutt'oggi non esiste un test per diagnosticare la malattia nell'animale vivo, l'unica modalità per i patologi veterinari conferma la presenza del morbo solo dopo l'esame microscopico dei tessuti cerebrali effettuato post-mortem o dall'identificazione della forma anomala di una proteina: il prione, presunto responsabile della malattia.

Il prione


Si tratta di una proteina capace di modificarsi divenendo tossica e provocando la distruzione delle cellule cerebrali. La sua scoperta è piuttosto recente, una quindicina d'anni fa circa, ed è merito di Stanley Prusiner dell'Università di San Francisco, che per primo scoprì la sua natura e lo identificò come responsabile dell'encefalopatia spongiforme. Una sua caratteristica singolare è di non aver acidi nucleici (DNA e RNA) nella struttura, che consiste infatti di una singola molecola contenente circa 250 aminoacidi, le cosiddette proteine PrP, normali varianti proteiche che si trovano abitualmente nelle cellule, e in particolare in quelle cerebrali. I prioni non sono dannosi di per sé, essendo presenti in tutti i mammiferi, ma possono acquisire capacità infettive e patologiche quando ne viene alterata la struttura, il che può accadere per mutazione genetica o per effetto dell'interazione con altri prioni modificati. Una scoperta importantissima per la scienza medica. Se prima infatti si riteneva che solo strutture dotate di DNA o RNA, come i virus e i batteri, potessero moltiplicarsi in un organismo fino a causare una malattia, ora si sa che le malattie possono essere sostenute anche da entità più semplici del virus, che difficilmente potrebbero essere considerate organismi viventi in sé. Ancora però non è noto in modo preciso quale sia l'effetto dose dei prioni, cioè qual è la probabilità per i prioni contenuti nei supplementi alimentari di entrare nel corpo della mucca, tuttavia si presume siano sufficienti quantità ridotte.

...e l'uomo impazzisce?

Il 20 marzo 1996 le Autorità del Regno Unito hanno rilasciato una dichiarazione secondo la quale, pur non avendo prove certe in merito, non si poteva escludere un legame tra la BSE e la malattia di Creutzfeld Jacob nell'uomo.
Anche per l'uomo infatti esistono malattie da prioni, analoghe a quelle della mucca pazza. La più conosciuta è il morbo di Creutzfeldt Jacob (MCJ), si tratta di una malattia neurologica incurabile e mortale che colpisce l'uomo. Appartiene alla famiglia delle encefalopatie spongiformi umane, che comprende anche il kuru (malattia presente in Nuova Guinea a causa dell'esistenza di pratiche di cannibalismo) e si distingue in tre diverse forme: sporadica, iatrogena e familiare. A queste va aggiunta una nuova variante di cui per ora in Italia si conta un unico caso. La MCJ è stata descritta la prima volta negli anni venti ed è presente in tutto il mondo, con una incidenza di circa un caso per milione di abitanti all'anno. La forma classica colpisce persone prevalentemente attorno ai 60 anni e le alterazioni del tessuto cerebrale causate da questa malattia portano alla demenza. Un 10-15 per cento dei casi ha origine ereditaria e un numero piccolo di casi è dovuto invece a interventi chirurgici come i trapianti, nel caso si ricorra a tessuti appartenenti a persone malate. La variante di questa malattia individuata di recente è nota come V-CJD ed è quella segnalata nel Regno Unito, con la dichiarazione suddetta delle autorità locali, dopo che tra il marzo '95 e il gennaio '96 si sono manifestati 10 casi piuttosto particolari rispetto alla Creutzfeld Jacob classica per due ragioni fondamentali: l'età dei soggetti colpiti, tutti tra i 19 e i 41 anni, ed un decorso della malattia relativamente lungo, 13 mesi. Da allora un caso è stato confermato in Francia e nel Regno Unito si sono riscontrati altri quattro casi sospetti.

I sintomi sull'uomo

I principali sintomi della malattia sono di tipo neurologico-psichiatrico con manifestazioni depressive e schizofreniche, si ha infatti la progressiva degenerazione del cervello, che assume un aspetto spugnoso per accumulo di sostanza amiloide che finisce per distruggere le cellule nervose. Sintomi sensoriali meno comuni riguardano l'appiccicosità della pelle che peraltro si è manifestata in modo piuttosto sporadico agli inizi della malattia, nella metà circa dei soggetti colpiti. Qualsiasi diagnosi è difficile, la malattia infatti è identificata quando ormai è troppo tardi in virtù della sua natura progressiva e degenerativa. Gli unici test diagnostici significativi sono la risonanza magnetica e l'analisi del liquido cerebrospinale; anche l'andamento dell'elettroencefalogramma è indicativo poiché irregolare, ma non riprende l'andamento caratteristico delle onde dei malati di Creutzfeld Jacob nella forma classica. Solo l'analisi anatomopatologica successiva alla morte permette di identificare aggregati microscopici e anormali circondati da buchi, le cosiddette placche fiorite, tipiche del morbo.
Il contagio avviene, secondo la teoria largamente più condivisa, attraverso l'ingestione di carne infetta. Un recente studio sugli ovini ha dimostrato però che il morbo è trasmissibile anche con una trasfusione di sangue da un soggetto infetto. Sull'uomo una simile modalità di trasmissione non è mai stata provata, come neppure ogni altra forma di contagio da uomo a uomo, ma le ricerche in questa direzione continuano.

Le prospettive della ricerca

Per quel che riguarda le prospettive della ricerca, la priorità è di introdurre un test diagnostico tale da identificare il morbo in modo preventivo sia sugli uomini sia sui bovini. Si potrebbe trattare di un test immunologico rivolto a identificare la inusuale forma ripiegata della PrP proteina responsabile della malattia. In questa direzione è la scoperta, pubblicata su Nature, di un anticorpo capace non solo di aggredire i prioni, ma di prevenire l'infezione. I ricercatori si stanno prodigando poi nella creazione di una molecola di sintesi che stabilizzi la proteina normale nell'organismo prima che si ripieghi in modo pericoloso, ed in questo senso la via più propizia sembra essere quella dell'ingegneria genetica. L'auspicato progresso in questa direzione potrebbe aprire spiragli importanti anche nella ricerca sul morbo di Alzheimer e sarebbe, inutile sottolinearlo, provvidenziale. A questo proposito un articolo apparso sull'ultimo numero di Science mette in evidenza come, pur così diverse per incidenza, le due malattie abbiano molto in comune per quel che riguarda il metabolismo delle proteine neuronali di membrana: il prione e l'amiloide rispettivamente. Le informazioni sulle caratteristiche di queste proteine sono sempre di più e non è da escludere che la ricerca sui prioni possa beneficiare di quella sull'Alzheimer e viceversa.

Marco Malagutti



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