07 luglio 2004
Aggiornamenti e focus
Di chi è quel braccio?
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Alle persone amputate o con un arto completamente paralizzato, capita di provare dolori terribili nella mano o nella gamba che a tutti gli effetti non c'è più. Si chiama sindrome dell'arto fantasma e non è una semplice suggestione. Se, infatti, si monitorizza l'attività elettrica dei centri cerebrali del dolore, risulta chiaro che è come se il cervello si autoingannasse. A gettare ulteriore luce sul grado di percezione che il cervello ha del corpo arriva una ricerca, pubblicata sull'edizione on line di Science. I risultati chiariscono i meccanismi che sono a monte dell'arto fantasma ma che si manifestano anche nei disturbi da auto percezione tipici della schizofrenia e dell'ictus.
A gestire la percezione del corpo interagiscono tre sensi: vista, tatto e propriocezione. Quest'ultimo rappresenta il senso della posizione ed è quel meccanismo che entra in gioco quando chiudendo gli occhi si cerca di stabilire la posizione delle proprie braccia, delle proprie gambe o l'orientamento della testa. A integrare le informazioni dei diversi sensi pensa un'area del cervello specifica: la corteccia premotoria. Se per esempio si appoggia un braccio sul tavolo e si chiudono gli occhi per circa un minuto, col passare del tempo diventa sempre più difficile prestare attenzione alla posizione del proprio avambraccio. Appena si riaprono gli occhi, però, immediatamente si ristabilisce il senso della posizione. A conferma del fatto che i confini del corpo si basano in gran parte sulla percezione visiva. E proprio su questo aspetto, il dominio della vista sulla propriocezione, si sono soffermati i ricercatori della Oxford University.
Nello studio britannico ciascun volontario, sottoposto al test, ha nascosto un braccio sotto al tavolo, mentre una mano di gomma, riempita con un'intelaiatura di ferro e cotone, veniva posizionata in modo da suggerire che fosse parte integrante del corpo. Dopodiché con un pennello venivano contemporaneamente strofinate sia la mano finta sia quella vera e il cervello dei volontari veniva scannerizzato con la risonanza magnetica. A questo punto sono stati sufficienti in media undici secondi ai volontari per iniziare ad avvertire la mano di gomma come propria. Quanto più forte era la sensazione tanto maggiore l'attività registrata a livello della cortecciapremotoria. Terminato l'esperimento ai volontari è stato chiesto di indicare quale fosse la vera mano. Ebbene molti hanno indicato quella di gomma, sintomo evidente di un'avvenuta riorganizzazione cerebrale. Al di là della curiosità scientifica, però, studiare i confini del corpo e le bizzarre percezioni che si possono verificare, potrebbe essere fondamentale per la realizzazione di ambienti virtuali o sistemi di controllo dei movimenti adistanza- suggeriscono i ricercatori. Utile però anche l'utilizzo di queste conoscenze in prospettiva clinica. In situazioni come l'arto fantasma, che segue l'amputazione, si potrebbe infatti alleviare la sensazione dei pazienti mostrando loro uno specchio in corrispondenza del braccio amputato. Il riflesso del braccio sano sembra dare frequentemente al paziente l'illusione di vedere il proprio arto mancante o muovendo il braccio sano di agire con l'arto fantasma. "Una sola gamba ai miei occhi, ma due gambe per il mio animo" come diceva il monco capitano Achab del Moby Dick di Melville. E non sarebbe una cosa da poco.
Marco Malagutti
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Il dominio della vista
A gestire la percezione del corpo interagiscono tre sensi: vista, tatto e propriocezione. Quest'ultimo rappresenta il senso della posizione ed è quel meccanismo che entra in gioco quando chiudendo gli occhi si cerca di stabilire la posizione delle proprie braccia, delle proprie gambe o l'orientamento della testa. A integrare le informazioni dei diversi sensi pensa un'area del cervello specifica: la corteccia premotoria. Se per esempio si appoggia un braccio sul tavolo e si chiudono gli occhi per circa un minuto, col passare del tempo diventa sempre più difficile prestare attenzione alla posizione del proprio avambraccio. Appena si riaprono gli occhi, però, immediatamente si ristabilisce il senso della posizione. A conferma del fatto che i confini del corpo si basano in gran parte sulla percezione visiva. E proprio su questo aspetto, il dominio della vista sulla propriocezione, si sono soffermati i ricercatori della Oxford University.
Il cervello si autoinganna
Nello studio britannico ciascun volontario, sottoposto al test, ha nascosto un braccio sotto al tavolo, mentre una mano di gomma, riempita con un'intelaiatura di ferro e cotone, veniva posizionata in modo da suggerire che fosse parte integrante del corpo. Dopodiché con un pennello venivano contemporaneamente strofinate sia la mano finta sia quella vera e il cervello dei volontari veniva scannerizzato con la risonanza magnetica. A questo punto sono stati sufficienti in media undici secondi ai volontari per iniziare ad avvertire la mano di gomma come propria. Quanto più forte era la sensazione tanto maggiore l'attività registrata a livello della cortecciapremotoria. Terminato l'esperimento ai volontari è stato chiesto di indicare quale fosse la vera mano. Ebbene molti hanno indicato quella di gomma, sintomo evidente di un'avvenuta riorganizzazione cerebrale. Al di là della curiosità scientifica, però, studiare i confini del corpo e le bizzarre percezioni che si possono verificare, potrebbe essere fondamentale per la realizzazione di ambienti virtuali o sistemi di controllo dei movimenti adistanza- suggeriscono i ricercatori. Utile però anche l'utilizzo di queste conoscenze in prospettiva clinica. In situazioni come l'arto fantasma, che segue l'amputazione, si potrebbe infatti alleviare la sensazione dei pazienti mostrando loro uno specchio in corrispondenza del braccio amputato. Il riflesso del braccio sano sembra dare frequentemente al paziente l'illusione di vedere il proprio arto mancante o muovendo il braccio sano di agire con l'arto fantasma. "Una sola gamba ai miei occhi, ma due gambe per il mio animo" come diceva il monco capitano Achab del Moby Dick di Melville. E non sarebbe una cosa da poco.
Marco Malagutti
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