03 febbraio 2006
Aggiornamenti e focus, Speciale Depressione
Se l'umore è nero il cuore fa le bizze
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Si continua a indagare sull'associazione tra depressione e rischio cardiaco, e le conferme continuano ad arrivare. Per esempio, in Canada era stato osservato che nei pazienti sopravvissuti a un recente infarto del miocardio, i sintomi depressivi aumentavano le probabilità, più del doppio, di morire di morte improvvisa nei due anni successivi. Stesso risultato in un altro caso, in cui la morte cardiaca diventava sei volte più alta nei 18 mesi successivi. Certo, in entrambe le circostanze i sintomi psichici venivano valutati dopo, tanto da far pensare che fossero una conseguenza dell'evento cardiaco. Tuttavia, una popolazione di anziani sani, che all'inizio della ricerca risultavano depressi, nel giro di otto anni andava incontro con probabilità tre volte maggiore, a morte cardiaca improvvisa, anche escludendo altri fattori di rischio per le malattie coronariche. I pazienti erano ultrasettantenni, quindi un monitoraggio di otto anni assume un valore relativo. Ma estendendo l'analisi a popolazioni non selezionate i risultati non cambiavano.
Sono stati individuati 2228 casi di arresto cardiaco avvenuto al di fuori del regime ospedaliero nell'arco di 14 anni, in soggetti di età compresa tra 40 e 79 anni, laddove per arresto si intendeva l'improvvisa assenza di battito cardiaco, in assenza di cause di origini non cardiologiche. Anche per questo motivo sono stati esclusi coloro che avevano malattie gravi come tumori al cervello, patologie allo stadio terminale o che comunque mettevano in pericolo la vita del soggetto. Un campione di oltre quattro mila controlli sani (cioè che nello stesso periodo non avevano mai avuto un arresto cardiaco) sono stati inclusi per il confronto. Nel campione totale i soggetti sono stati distinti in coloro che avevano una patologia cardiaca e non e ovviamente i primi avevano la tendenza a presentare più fattori di rischio cardiovascolari. Come ci si aspettava la frequenza di questa condizione interessava maggiormente coloro che avevano avuto l'arresto (il 62,9% dei casi in esame) rispetto al controllo (53,8% del campione controllo). Anche i sintomi depressivi e le depressioni cliniche più gravi (seguite da specialisti o causa di ricovero negli anni precedenti) erano più comuni tra i soggetti che avevano avuto l'arresto, in presenza o meno di patologie cardiache. Ma la depressione caratterizzava anche parte dei pazienti controllo, che risultavano anche più anziani, spesso disoccupati, fumatori, diabetici, ipertesi e soggetti a insufficienza cardiaca congestizia, quindi con tutti i "requisiti" per essere considerati a rischio di arresto cardiaco. Ebbene, andando a valutare il rischio nel campione totale, nel gruppo dei soggetti con patologie cardiache e nel gruppo senza, la presenza di depressione lo raddoppiava in ogni caso. E andando a depurare i dati da tutti i fattori identificati, quindi escludendo fumo, diabete, consumo eccessivo di alcol, insufficienza cardiaca e ipertensione, il rischio rimaneva ugualmente alto.
Vale a dire che la depressione rappresentava un rischio indipendente di andare incontro ad arresto cardiaco. Il fatto, poi, che la tendenza si manteneva anche in pazienti senza precedenti malattie cardiache, esclude o minimizza la possibilità che fosse la presenza di disturbi cardiaci a provocare la depressione e non viceversa. Inoltre si verificava un effetto dose-dipendente: il rischio aumentava con la gravità della depressione.
Diversi meccanismi sono stati chiamati in causa per giustificare i risultati, in altri studi si pensava che fossero alcuni farmaci antidepressivi, ma in questo caso anche escludendo le persone in terapia non cambiava l'evidenza. Può essere parzialmente implicato il fenomeno aterosclerotico, in alcuni casi di depressi ricoverati per infarto è stata anche riscontrata un'alterazione della risposta cardiaca autonoma (quindi un problema di contrattilità nervosa). La depressione maggiore, per esempio, comporta un abbassamento dei livelli di acidi grassi omega-3 polinsaturi che promuove il rischio di morte cardiaca improvvisa. Ma possono esserci anche aspetti comportamentali: i depressi spesso fumano, sono poco attenti allo stile di vita e praticano poco sport e magari, pur essendo stati ricoverati per infarto, aderiscono poco alla terapia assegnata. In sostanza, in un quadro clinico depressivo, il malessere mentale non è l'unico aspetto medico da tenere sotto controllo, anche il cuore necessita di attenzione.
Simona Zazzetta
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Popolazione sotto esame
Sono stati individuati 2228 casi di arresto cardiaco avvenuto al di fuori del regime ospedaliero nell'arco di 14 anni, in soggetti di età compresa tra 40 e 79 anni, laddove per arresto si intendeva l'improvvisa assenza di battito cardiaco, in assenza di cause di origini non cardiologiche. Anche per questo motivo sono stati esclusi coloro che avevano malattie gravi come tumori al cervello, patologie allo stadio terminale o che comunque mettevano in pericolo la vita del soggetto. Un campione di oltre quattro mila controlli sani (cioè che nello stesso periodo non avevano mai avuto un arresto cardiaco) sono stati inclusi per il confronto. Nel campione totale i soggetti sono stati distinti in coloro che avevano una patologia cardiaca e non e ovviamente i primi avevano la tendenza a presentare più fattori di rischio cardiovascolari. Come ci si aspettava la frequenza di questa condizione interessava maggiormente coloro che avevano avuto l'arresto (il 62,9% dei casi in esame) rispetto al controllo (53,8% del campione controllo). Anche i sintomi depressivi e le depressioni cliniche più gravi (seguite da specialisti o causa di ricovero negli anni precedenti) erano più comuni tra i soggetti che avevano avuto l'arresto, in presenza o meno di patologie cardiache. Ma la depressione caratterizzava anche parte dei pazienti controllo, che risultavano anche più anziani, spesso disoccupati, fumatori, diabetici, ipertesi e soggetti a insufficienza cardiaca congestizia, quindi con tutti i "requisiti" per essere considerati a rischio di arresto cardiaco. Ebbene, andando a valutare il rischio nel campione totale, nel gruppo dei soggetti con patologie cardiache e nel gruppo senza, la presenza di depressione lo raddoppiava in ogni caso. E andando a depurare i dati da tutti i fattori identificati, quindi escludendo fumo, diabete, consumo eccessivo di alcol, insufficienza cardiaca e ipertensione, il rischio rimaneva ugualmente alto.
A rischio anche se solo depressi
Vale a dire che la depressione rappresentava un rischio indipendente di andare incontro ad arresto cardiaco. Il fatto, poi, che la tendenza si manteneva anche in pazienti senza precedenti malattie cardiache, esclude o minimizza la possibilità che fosse la presenza di disturbi cardiaci a provocare la depressione e non viceversa. Inoltre si verificava un effetto dose-dipendente: il rischio aumentava con la gravità della depressione.
Diversi meccanismi sono stati chiamati in causa per giustificare i risultati, in altri studi si pensava che fossero alcuni farmaci antidepressivi, ma in questo caso anche escludendo le persone in terapia non cambiava l'evidenza. Può essere parzialmente implicato il fenomeno aterosclerotico, in alcuni casi di depressi ricoverati per infarto è stata anche riscontrata un'alterazione della risposta cardiaca autonoma (quindi un problema di contrattilità nervosa). La depressione maggiore, per esempio, comporta un abbassamento dei livelli di acidi grassi omega-3 polinsaturi che promuove il rischio di morte cardiaca improvvisa. Ma possono esserci anche aspetti comportamentali: i depressi spesso fumano, sono poco attenti allo stile di vita e praticano poco sport e magari, pur essendo stati ricoverati per infarto, aderiscono poco alla terapia assegnata. In sostanza, in un quadro clinico depressivo, il malessere mentale non è l'unico aspetto medico da tenere sotto controllo, anche il cuore necessita di attenzione.
Simona Zazzetta
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