18 aprile 2008
Aggiornamenti e focus
Elogio della tazzina
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Genera dubbi, confusione e quesiti sui suoi effetti sulla salute, ma il caffé resta pur sempre la terza bevanda consumata al mondo, dopo l'acqua e il vino. In Italia se ne consumano 6 kg pro capite all'anno, soprattutto al mattino, in tarda mattinata e nel primo pomeriggio. E l'idea stessa che una bevanda possa influire sulla capacità di rimanere svegli, migliorare la concentrazione e in alcuni casi togliere il sonno fa sorgere domande su quanto interagisca con l'organismo e il sistema nervoso. A fugare dubbi, timori e luoghi comuni pensa la ricerca scientifica che negli ultimi anni, dopo aver studiato gli effetti del tè e del vino e di altri alimenti, si è interessata al caffé, a tutto ciò che contiene e a tutto ciò che il suo consumo può determinare nell'organismo umano e nella popolazione.
Il profilo della bevanda è stato tracciato dagli esperti del Centro Studi dell'Alimentazione, Nutrition Foundation of Italy, e in un bilancio tra pro e contro, i pro sono decisamente prevalenti, documentati da studi pubblicati nel 2006 e 2007. I grandi capitoli toccano la salute cardiovascolare, i disturbi del sonno, la funzionalità cognitiva, la salute del fegato e di recente anche il diabete di tipo 2.
I potenziali rischi per il cuore sono attribuibili principalmente alla caffeina, ma gli effetti possono essere molto diversi in persone con un profilo genetico differente per gli enzimi che metabolizzano la molecola. Ma a parte un'ipotesi di effetto protettivo, lo studio GISSI - Prevenzione, il più ampio studio italiano sulla sopravvivenza all'infarto ha verificato che il caffé non modifica il rischio di eventi cardiovascolari in soggetti a rischio. La caffeina ha anche un'azione stimolante sul sistema nervoso centrale, rilassa la muscolatura liscia, e il suo picco massimo nel sangue si ha dopo 30-40 minuti dall'ingestione. Gli effetti immediati a lungo termine (su sonno) sono soggetti a variabilità molto ampia, in generale migliorano la memoria e l'apprendimento e conferiscono un beneficio nelle donne sul declino cognitivo. E' stata anche osservata una relazione inversa tra rischio di morbo di Parkinson e consumo di caffé. Le ricerche smentiscono anche che il caffé sia dannoso per il fegato, anzi, si ipotizza un effetto protettivo per la cirrosi epatica legata all'alcolismo. Di recente è stato anche notato un vantaggio rispetto al diabete di tipo 2 nelle persone con alterata tolleranza al glucosio (fattore di rischio) ipotizzando un ritardo nell'assorbimento degli zuccheri a livello intestinali.
La caffeina di certo è la sostanza più nota, ma di certo non l'unica ad apportare tali e tanti vantaggi, l'attenzione dei ricercatori è, infatti, rivolta a una famiglia di molecole, i polifenoli, di cui da alcuni anni si studia la natura, la funzionalità e gli effetti sulla salute. Sono sostanze antiossidanti vale a dire che inattivano (tecnicamente riducono, cedendo un loro atomo di idrogeno) i radicali liberi molecole altamente reattive, prodotte dei processi di ossidazione (spesso associati a fenomeni infiammatori). Quelli presenti nel caffé sono acidi fenolici, in particolare, acidi clorigenici, il più abbondante dei quali è l'acido 5-caffeoilchinico. In vitro hanno dimostrato un potente effetto antiossidante, tra i più potenti sostengono i ricercatori della Unitè de Nutrition Humaine (INRA) con cui la NFI collabora da tempo per le ricerche in questo ambito. A questa azione si devono la maggior parte degli effetti benefici del caffé, come, per esempio, all'attività antiossidante osservata sul colesterolo LDL, che nella sua forma ossidata è ancora più dannoso per le arterie. In vitro, su campioni estratti da soggetti che avevano assunto caffé, è stato verificato che c'è un aumento della resistenza all'ossidazione delle LDL, dopo 30 e dopo 60 minuti dall'ingestione. L'azione antiossidante degli acidi clorigenici sembra essere anche indiretta: penetrano nelle cellule e stimolano l'espressione di geni che codificano per enzimi ad azione antiossidante. La quantità di acidi clorigenici dipende dalla quantità di caffé usata e dalla modalità di preparazione, in media ce ne sono 250 grammi ogni 100 ml di bevanda, nella tazzina all'italiana (moka o espresso) la quantità varia da 150 a 300 mg, nel caffé all'americana ce n'è di più. Le quantità cambiano anche con la varietà: la robusta ne contiene di più dell'arabica, in ogni caso la tostatura ne abbatte una quantità (come accade anche per il cacao), mentre non ci sono grandi differenze tra il decaffeinato e non. L'assorbimento delle sostanze antiossidanti è stato più volte dimostrato anche con il rilevamento di un picco plasmatico dopo due ore dall'ingestione.
Per ora non si può certo parlare di prevenzione o di effetti protettivi che possono garantire lo stato di salute della popolazione, ma di certo, di fronte a queste evidenze, il caffé va ad assumere una dignità di alimento che fornisce un valore aggiunto alla dieta e che quindi può rientrare in una corretta alimentazione, nel quadro più ampio degli stili di vita salutari.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Sgombrati i luoghi comuni
Il profilo della bevanda è stato tracciato dagli esperti del Centro Studi dell'Alimentazione, Nutrition Foundation of Italy, e in un bilancio tra pro e contro, i pro sono decisamente prevalenti, documentati da studi pubblicati nel 2006 e 2007. I grandi capitoli toccano la salute cardiovascolare, i disturbi del sonno, la funzionalità cognitiva, la salute del fegato e di recente anche il diabete di tipo 2.
I potenziali rischi per il cuore sono attribuibili principalmente alla caffeina, ma gli effetti possono essere molto diversi in persone con un profilo genetico differente per gli enzimi che metabolizzano la molecola. Ma a parte un'ipotesi di effetto protettivo, lo studio GISSI - Prevenzione, il più ampio studio italiano sulla sopravvivenza all'infarto ha verificato che il caffé non modifica il rischio di eventi cardiovascolari in soggetti a rischio. La caffeina ha anche un'azione stimolante sul sistema nervoso centrale, rilassa la muscolatura liscia, e il suo picco massimo nel sangue si ha dopo 30-40 minuti dall'ingestione. Gli effetti immediati a lungo termine (su sonno) sono soggetti a variabilità molto ampia, in generale migliorano la memoria e l'apprendimento e conferiscono un beneficio nelle donne sul declino cognitivo. E' stata anche osservata una relazione inversa tra rischio di morbo di Parkinson e consumo di caffé. Le ricerche smentiscono anche che il caffé sia dannoso per il fegato, anzi, si ipotizza un effetto protettivo per la cirrosi epatica legata all'alcolismo. Di recente è stato anche notato un vantaggio rispetto al diabete di tipo 2 nelle persone con alterata tolleranza al glucosio (fattore di rischio) ipotizzando un ritardo nell'assorbimento degli zuccheri a livello intestinali.
Caffeina, antiossidanti & C.
La caffeina di certo è la sostanza più nota, ma di certo non l'unica ad apportare tali e tanti vantaggi, l'attenzione dei ricercatori è, infatti, rivolta a una famiglia di molecole, i polifenoli, di cui da alcuni anni si studia la natura, la funzionalità e gli effetti sulla salute. Sono sostanze antiossidanti vale a dire che inattivano (tecnicamente riducono, cedendo un loro atomo di idrogeno) i radicali liberi molecole altamente reattive, prodotte dei processi di ossidazione (spesso associati a fenomeni infiammatori). Quelli presenti nel caffé sono acidi fenolici, in particolare, acidi clorigenici, il più abbondante dei quali è l'acido 5-caffeoilchinico. In vitro hanno dimostrato un potente effetto antiossidante, tra i più potenti sostengono i ricercatori della Unitè de Nutrition Humaine (INRA) con cui la NFI collabora da tempo per le ricerche in questo ambito. A questa azione si devono la maggior parte degli effetti benefici del caffé, come, per esempio, all'attività antiossidante osservata sul colesterolo LDL, che nella sua forma ossidata è ancora più dannoso per le arterie. In vitro, su campioni estratti da soggetti che avevano assunto caffé, è stato verificato che c'è un aumento della resistenza all'ossidazione delle LDL, dopo 30 e dopo 60 minuti dall'ingestione. L'azione antiossidante degli acidi clorigenici sembra essere anche indiretta: penetrano nelle cellule e stimolano l'espressione di geni che codificano per enzimi ad azione antiossidante. La quantità di acidi clorigenici dipende dalla quantità di caffé usata e dalla modalità di preparazione, in media ce ne sono 250 grammi ogni 100 ml di bevanda, nella tazzina all'italiana (moka o espresso) la quantità varia da 150 a 300 mg, nel caffé all'americana ce n'è di più. Le quantità cambiano anche con la varietà: la robusta ne contiene di più dell'arabica, in ogni caso la tostatura ne abbatte una quantità (come accade anche per il cacao), mentre non ci sono grandi differenze tra il decaffeinato e non. L'assorbimento delle sostanze antiossidanti è stato più volte dimostrato anche con il rilevamento di un picco plasmatico dopo due ore dall'ingestione.
Per ora non si può certo parlare di prevenzione o di effetti protettivi che possono garantire lo stato di salute della popolazione, ma di certo, di fronte a queste evidenze, il caffé va ad assumere una dignità di alimento che fornisce un valore aggiunto alla dieta e che quindi può rientrare in una corretta alimentazione, nel quadro più ampio degli stili di vita salutari.
Simona Zazzetta
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