Quel confine tra stress e depressione

06 dicembre 2006
Aggiornamenti e focus, Speciale Depressione

Quel confine tra stress e depressione



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Difficile occuparsi di depressione senza incontrare termini come neurotrasmettitore, serotonina, ricaptazione. Difficile anche non farsi l'idea che sia proprio sulla disponibilità di serotonina che si gioca tutta la regolazione dell'umore, anche sulla scorta del fatto che i principali antidepressivi oggi impiegati, gli SSRI, proprio sulla ricaptazione della serotonina agiscono. E' vero, più recentemente si è aggiunta all'arsenale farmacologico, la classe degli SNRI, che agiscono anche sulla noradrenalina ma, insomma, si potrebbe pensare che il cerchio si chiuda lì. Troppo facile: uno studio pubblicato la scorsa settimana mette in luce un altro aspetto della biochimica cerebrale che potrebbe, almeno nella popolazione femminile, complicare la spiegazione della "melancolia", come si diceva in tempi più semplici. La ricerca verteva sul ruolo di un altro meccanismo, quello degli oppioidi endogeni o endorfine, sostanze che l'organismo produce in reazione allo stress (fisico ed emotivo) e che, proprio così, hanno lo scopo di suscitare una risposta gratificante nel sistema nervoso centrale. Il che spiega come mai si comincia a fare uso di stupefacenti e, poi, sia così difficile farne a meno. Ovviamente anche gli oppiodi endogeni per agire devono legarsi a recettori specifici, che in questo caso si chiamano recettori mu degli oppioidi. Recettori che sono distribuiti abbastanza equamente nel cervello, ma che si concentrano nelle aree associate alla risposta allo stress.

Su il recettore e giù l'umore


Orbene, l'attivazione e la disattivazione di questi recettori, quindi il funzionamento del sistema degli oppioidi endogeni, secondo i ricercatori, può avere un ruolo anche nel mantenimento dell'umore depresso e, probabilmente, anche nella risposta ai trattamenti farmacologici. Per verificare l'ipotesi, i ricercatori hanno selezionato due gruppi omogenei di donne, uno con diagnosi di depressione maggiore, l'altro no. Le persone colpite da depressione sono poi state avviate al trattamento con un SSRI. In entrambi i gruppi, con mezzi psicologici, è ovvio, è stato indotto uno stato di tristezza, la cui intensità è stata valutata con un apposito questionario. Quanto all'aspetto neurochimico, grazie a tecniche di imaging diagnostico si è valutato lo stato di attivazione dei recettori mu e le aree in cui si aveva la variazione di stato: insomma, se aumentava la disponibilità di recettori, se diminuiva e dove. Il primo risultato è che effettivamente ci sono differenze: nelle persone sane, per esempio, si ha una disattivazione nel rostro del cingolato anteriore e i recettori si spengono tanto più intensa è la tristezza. Al contrario nelle persone depresse, l'induzione della tristezza era associata con l'attivazione della neutrotrasmissione mediata dagli oppioidi endogeni e dai recettori, ma in un'altra area, la corteccia temporale inferiore sub-amigdalare.

Differenze tra i sessi


Vabbé, termini difficili, ma il senso è che nella risposta emotiva entra in gioco anche questo sistema di risposta allo stress e, anzi, è un po' l'interfaccia tra gli stimoli stressanti e le emozioni. Magari un neurofisiologo salterebbe sulla sedia, ma è come dire che c'è una prova che nella depressione si ha, a livello cerebrale, anche una diversa reazione alle situazioni critiche del mondo esterno. E forse assumono un altro significato frasi come "ti abbatti per niente". Inoltre, va considerato che la dinamica della neutrotrasmissione degli oppioidi nel rostro del cingolato anteriore si associa alla risposta o meno al trattamento. Se il sistema risulta attivato è probabile che gli SSRI funzioneranno meno, se invece ha un'attività più ridotta, come nelle persone non depresse, il farmaco si dimostra efficace. Per ora, conclude lo studio, non si possono generalizzare le conclusioni anche alla popolazione maschile, perché altri studi hanno mostrato alcune differenze tra i due sessi nella funzionalità del sistema dei recettori mu oppioidi. Il che, forse, ma solo forse, potrebbe rendere ragione delle differenze epidemiologiche.

Maurizio Imperiali



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